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Sarebbe ora!

Sarebbe ora

Nei vuoti lasciati dalla contrazione ideologica simbolicamente annunciata dalla caduta del Muro, la nostra costituzione materiale veniva sconvolta, ormai quasi trent'anni fa, dagli accadimenti che molti ricordano, in primo luogo le inchieste giudiziarie che travolsero un’intera classe politica e sancirono la ingloriosa fine della cosiddetta Prima Repubblica. In quel periodo, in cui la forza della nostra democrazia era messa a dura prova, eravamo pervasi da una grande speranza, quella di poter gettare le fondamenta di una nuova primavera politica sulle macerie di un sistema degenerato e finalmente imploso. Ma quell'ansia collettiva di trasformazione e di rinnovamento venne inesorabilmente frustrata e, lentamente, la fiducia lasciò il posto ad una rabbia impotente. La stessa rabbia di oggi e, soprattutto, la stessa rabbia che affiora di fronte alle medesime questioni, a cominciare proprio dalla corruzione.

Fra le mille cose che avrebbe potuto e dovuto fare, la classe politica in questi vent'anni ha fatto l'unica cosa che era impossibile fare: fermare il tempo! Ma per capire come è potuto accadere non servono le menti più acute della fisica quantistica o relativistica, è sufficiente fare caso al fatto che, in questi anni, la speranza di cambiamento ha sempre cozzato con la totale assenza di strumenti in grado di trasformarla in concreta iniziativa di intervento democratico. In pratica, non è mai stata convertibile, per i cittadini, con la effettiva possibilità di intervenire, con la possibilità di essere parte attiva di questo cambiamento. E oggi nulla è cambiato: sono sempre gli strumenti della partecipazione politica che, di fatto, continuano a mancare.

Nel primo articolo della nostra Carta leggiamo: “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Badate, non c’è scritto, come vorrebbero farci credere, che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita con il voto. La democrazia è un’altra cosa e i padri costituenti lo sapevano bene. “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”: è il disprezzo di questa prescrizione il grande limite del sistema, il pezzo mancante del suo complesso ingranaggio che non ci consente di esercitare davvero la nostra sovranità. Senza metodo democratico il suffragio (ed il suo ritmo spasmodico) è concausa del degrado politico e concorre, paradossalmente più di ogni altra cosa, a svilire il valore ed il senso stesso della democrazia.

Certo, sarebbe velleitario ritenere che unicamente intorno al metodo, d’un tratto bussola di vecchie e nuove aggregazioni alla ricerca delle sue migliori applicazioni, possa ripiegare la degenerazione incontrollata del nostro sistema politico. Ma non lo è di sicuro chiedersi in che misura abbia inciso, e tuttora incida, in questa degenerazione, il fatto di averlo sempre considerato accessorio, unitamente all'antico e copioso dibattito che lo riguarda. Da troppi anni si discute della necessità di regolamentare il sistema dei partiti. Dovremmo essere stanchi di aspettare, invece siamo semplicemente inconsapevoli. Siamo, anche noi, perfettamente in linea con le agende politiche malauguratamente più in voga, inzuppate solo di numeri e cifre che ignorano del tutto il vero, grande deficit della nostra epoca, quello democratico. È di questo deficit, invece, che oggi è necessario occuparsi. Con umiltà: per capire, per verificare se il drammatico scollamento fra chi detiene il potere e la massa sempre più impotente di chi lo subisce non derivi, magari, dalla nostra incapacità nel dare una forma più autentica a un principio costituzionale snobbato, da sempre, da tutte le forze politiche. Ma anche con determinazione, perché in realtà ne siamo convinti.

Se aspettiamo che siano altri a colmarlo, il risanamento del deficit democratico continuerà ad essere disatteso, e la intollerabile esclusione che ne deriva seguiterà ad accompagnarci per i prossimi decenni. Non abbiamo questa pazienza, anzi è un fardello insopportabile da sostenere anche solo per un istante. Perché la sensazione è quella, come venticinque anni fa, di vivere un tempo di scelte decisive, che sarebbe necessario guidare e accompagnare, subito e direttamente. Invece, continuiamo a non avere alcuna opportunità di incidere, di contare; continuiamo, tragicamente, a non essere sovrani del nostro destino.

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