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Un nuovo modello di partecipazione democ

Un nuovo modello di partecipazione democratica

Questo progetto è rimasto a lungo latente. La stessa denominazione è stata sempre precaria, tanto che oggi il vecchio nome, “ingerenza democratica”, formalmente ancora quello ufficiale, ha lasciato il posto al titolo del tour che stiamo approntando, “il puntino sulla d”, un po’ meno roboante e forse più adatto a promuovere questa esperienza.

La vecchia insegna aveva il suo perché: fu concepita, da un lato, con l’intento di sottolineare il paradosso di un sistema in cui la legittima rivendicazione alla partecipazione politica appare quasi come una pretesa immotivata, un’intromissione; dall'altro lato, lo scopo era quello di esortarla questa intromissione, enfatizzandola proprio con quella forza prepotente che il termine “ingerenza” istintivamente suscita. Tuttavia il tempo ci ha insegnato che la veemenza non è l’approccio più adatto per progettare e costruire. E invece è proprio di questo che c’è bisogno per recuperare la nostra sovranità: progettare e costruire uno strumento nuovo, inedito di intervento democratico. Noi vogliamo costruire questo strumento, e vogliamo costruirne uno capace di assumere integralmente il suo ruolo, senza ripudiarne affatto la tradizionale e naturale definizione, quella di partito politico.

Ben sappiamo che, solo a pronunciarla, la parola “partito” suona come una nota stonata, suscita un pregiudizio quasi insuperabile. L’opinione largamente prevalente è quella che considera i partiti la causa e non la soluzione dei problemi: non possiamo biasimarla, anzi la forma e i modi con cui i partiti pretendono ancora di continuare a proporsi non fanno altro che rafforzarla. Ma questa battaglia non può essere combattuta con strumenti diversi. Si dirà: quale battaglia? Quella che per noi è, come avrebbe detto qualcuno, la madre di tutte le battaglie, cioè la selezione della rappresentanza democratica.

La selezione della rappresentanza è un momento cruciale per la democrazia, è il passaggio in cui è riposto gran parte del legame fra il popolo e l’esercizio effettivo della sua sovranità, in funzione della quale ci viene strumentalmente presentata come esaustiva la prerogativa che troppo spesso anche noi riconosciamo come tale, cioè il voto. Ma questo, da solo, ci offre ben poche opportunità di incidere: è assolutamente insufficiente. La carenza di strumenti democratici è il problema vero, profondo, non solo del nostro sistema politico: è il problema da cui originano e si dipanano tutte le altre nefandezze alle quali, da troppi anni, siamo costretti ad assistere impotenti. A mancare è anzitutto lo  strumento principe, quello che tutti gli altri raccoglie e connette, lo strumento che anzitutto ci occorre, come espressamente dice la nostra Carta, per “determinare la politica nazionale”, cioè il partito politico. Noi vogliamo costruirne uno, dicevamo, ma non un partito come tutti gli altri, così come oggi lo conosciamo, nella forma perversa che esso ha assunto, soprattutto in questi ultimi anni. Noi vogliamo dimostrare, piuttosto, che questa forma è tutt'altro che rigida e che si può crearne una nuova, che si può immaginare e realizzare concretamente un modello inedito, completamente diverso dagli attuali. Adottare la forma partito, infatti, non significa necessariamente proporre il modello esistente: noi vogliamo escogitare una modalità di partecipazione nuova che ci permetta di assumere pienamente il nostro ruolo di cittadini, una modalità con cui ripensare, fornendogli concreta e innovativa attuazione, il concetto stesso di partito. Che non è nulla di così aberrante ma che coincide, invece, proprio con il concetto di strumento: uno strumento anzitutto nostro, della società civile e non, come si è indotti a pensare, della classe politica. Il partito politico deve tornare ad essere questo o, forse, per chi preferisce, deve semplicemente e compiutamente esserlo, come non lo è mai stato.

Vogliamo costruire un luogo di democrazia autentica, un luogo nel quale rigenerare il significato della parola stessa "democrazia", realizzandone appieno il concetto: è un lavoro potenzialmente "devastante", è l'unico percorso in grado di condurci verso una nuova, entusiasmante primavera democratica, ne siamo fermamente persuasi. Tuttavia, abbiamo già messo in conto le semplificazioni, e anche il sarcasmo, di chi giudicherà questo tentativo uno sforzo velleitario, un impegno distante dai problemi veri e urgenti di cui un partito politico dovrebbe occuparsi. Ma la trappola delle banalizzazioni non ci preoccupa: sappiamo bene che la realizzazione di un nuovo modello di partecipazione democratica avrà un senso solo se, con esso, saremo capaci di costruire una concreta offerta programmatica, intorno a dei valori condivisi e all'interno di una comune visione ideologica. È un percorso che conosciamo e che non vogliamo eludere. Piuttosto, ne vogliamo fare uno ancora più lungo. Perché le strade che portano verso una risposta credibile ai problemi da molti ritenuti più urgenti sono tante, ma il primo tratto di queste strade è, in realtà, un tratto comune a ciascuna di esse. Questo primo tratto si chiama metodo democratico, ed è proprio chi lo considera accessorio o chi pensa si possa iniziare il percorso da un altro punto che, forse, non ha nessuna intenzione di affrontare i problemi della collettività. E, in ogni caso, chi pensa di evitare questo primo tratto di strada, non avrà mai titolo per affrontarli concretamente poiché sarà sempre sprovvisto del requisito indispensabile per perseguire davvero il bene comune. E cioè: un'autentica, forte legittimazione democratica.

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